Tour Verona a Vinitaly
Tour Verona a Vinitaly
La bellissima Città di Verona che ospita l’importante Vinitaly offre innumerevoli luoghi in cui immergersi in epoche lontane e conoscere la storia e la cultura della nostra civiltà.
Fuori-Fiera vi invita a visitare questi angoli di storia, suggerendo un percorso itinerante, sia durante il giorno e sia nelle ore serali, soffermandosi ad ammirarli e degustando gli ottimi vini e prodotti tipici tra le osterie e ristoranti locali tra una tappa e l’altra.
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L’anfiteatro di Verona rappresenta l’opera architettonica senza dubbio più imponente, complessa e caratteristica nel panorama monumentale della città, al punto da esserne riconosciuta come simbolo.
L’edificio fu costruito per ospitare spettacoli a cui i romani erano particolarmente appassionati: combattimenti fra gladiatori e cacce ad animali feroci ed esotici, e il termine Arena, con cui viene comunemente chiamato, deriva dal latino «arena», sabbia, la quale veniva usata per coprire l’area interna dove si svolgevano i giochi e gli spettacoli.
Sebbene sia noto che l’Arena fu edificata nel corso del I secolo d.C., negli ultimi anni del regno dell’imperatore Augusto, storici e architetti non sono ancora concordi nel definire la data precisa della sua costruzione.
Fu eretta all’esterno delle mura cittadine, per poterla rendere più facilmente raggiungibile dalle zone limitrofe e per tenere fuori dall’abitato una possibile fonte di affollamento e violenze.
Attualmente, come i visitatori possono subito notare, l’edificio sorge al centro di una depressione profonda circa due metri rispetto al livello della piazza circostante, ma considerando i livelli della città romana risulta invece che per la sua costruzione fu creata una leggera elevazione del terreno.
Questo espediente fu attuato per questioni di drenaggio delle acque, affinché non ci fosse ristagno all’interno della cavea, per evitare il quale fu progettato anche un complesso sistema di scarichi sotterranei: si tratta di canalizzazioni di grandi dimensioni – costruite con ciottoli legati con malta –, buoni tratti delle quali coperte da lastroni di pietra.
L’edificio è stato infatti costruito mantenendo l’orientamento dei suoi assi e dei sistemi di drenaggio delle acque rispetto al reticolo viario urbano dell’epoca romana. Queste canalizzazioni hanno dato vita a leggende (tuttora note alla grande maggioranza dei veronesi), che vorrebbero l’edificio collegato tramite intricati passaggi sotterranei con altri edifici e fortezze della città (Castelvecchio, Castel San Felice, Castel San Pietro) o con le principali vie di fuga.
L’Arena fu utilizzata per secoli come fonte di materiale edilizio di reimpiego, per la costruzione di successivi edifici cittadini: questa è la causa principale della sua attuale incompletezza. A farne pesantemente le spese è stato l’anello di cinta esterno, già indicato nel VI secolo, poi distrutto dal terremoto del XII secolo.
Tale anello era costituito da un triplo ordine di arcate sovrapposte, in stile architettonico tuscanico ed era fatto interamente di pietra calcarea della Valpolicella, bianca e rosata. Lavorato a bugnato, l’altezza complessiva era di circa 31 metri. Oggi, del rivestimento esterno rimane solo
una piccola porzione, la cosiddetta «ala», di quattro campate. La cavea e la platea sono state restaurate in epoca moderna.
Fu costruito nella prima metà dell’800 dall’ingegnere Giuseppe Barbieri, come sede della Guardia Civica Austriaca; è un grande edificio neoclassico, ispirato alle forme degli antichi templi romani e presenta un colonnato ed un pronao corinzi e un grande frontone triangolare.
All’interno sono conservate due grandi tele di Paolo Farinati e Felice Brusasorci, che illustrano episodi della storia di Verona. Dal 1869 è sede municipale.
Il maniero scaligero voluto da Cangrande II fu costruito nel 1354-57. Dopo la caduta degli Scaligeri fu utilizzato come deposito d’armi dai veneziani e nel ‘700 ospitò l’Accademia Militare della Serenissima; in seguito, sotto il dominio francese e quello austriaco, fu utilizzato come caserma.
Nel 1923 fu avviato un radicale restauro che smantellò i caratteri militari del monumento, con l’inserimento di elementi architettonici tardo-gotici e rinascimentali di reimpiego e il ripristino delle merlature e delle coperture delle torri, eliminate in epoca napoleonica. Nel 1928 diventò sede del Museo di Castelvecchio.
Nel 1957 l’arch. Carlo Scarpa e il direttore del Museo avviarono una radicale opera di ristrutturazione e riallestimento museale; i lavori, terminati nel 1964, riportarono alla luce l’antica Porta del Morbio che si apriva nella cinta muraria del XII secolo.
Capolavoro del romanico in Italia, fu fondata da Re Pipino, o secondo alcuni rifondata, tra l’VIII e il IX secolo, sulla tomba del patrono di Verona, attorno al quale si era sviluppato un culto con radici antiche a partire dal V secolo. Le attuali strutture romaniche sono dovute principalmente alle modifiche attuate nel XII secolo, dopo il terremoto del 1117.
Sul lato destro di Castelvecchio, in una piccola area verde che si affaccia sul fiume Adige, si trova la costruzione del I secolo d.C..
La sua originaria posizione è riconoscibile per la segnalazione, sul selciato, della posizione delle basi di pilastri, tra l’ingresso di Castelvecchio e l’imboccatura del ponte di Castelvecchio, nel mezzo di via Cavour.
Nel 1805, durante l’occupazione napoleonica, i francesi ne decisero la demolizione, perché ritenevano l’arco d’intralcio al traffico, soprattutto quello militare.
Le pietre del monumento furono prima spostate in piazza Cittadella, poi furono trasferite presso l’Arena. Nel 1932 l’arco fu ricomposto con i blocchi originali.
Porta Borsari in epoca romana era chiamata Porta Iovia, nome che le veniva dalla presenza di un tempio dedicato a Giove posto appena fuori della porta (i cui resti sono visibili nei giardini del Cimitero Monumentale).
Poi nel medioevo fu detta Porta San Zeno, dal nome dell’abbazia posta fuori città che si raggiungeva uscendo da questa porta.
Il nome attuale ha origine nel basso medievale e deriva dai «bursarii» che qui, all’epoca, riscuotevano i dazi vescovili.
Fu aperta probabilmente nel I secolo a.C. sulla via Postumia (che nel tratto urbano costituiva il decumano massimo) e rinnovata nel I secolo d.C. Era l’ingresso principale della città e la sua funzione di rappresentanza era sottolineata da ricche decorazioni
ornamentali. Porta Borsari era un edificio con corte centrale e doppi passaggi nelle facciate. Sull’architrave sopra i fornici l’Imperatore Gallieno fece incidere un’iscrizione che ricordasse la ricostruzione nel 265 d.C. della cinta muraria urbana, anche se in realtà il suo fu un intervento di ripristino ed ampliamento, e non di ricostruzione.
Di tale costruzione resta solo la facciata esterna in calcare bianco locale, con due fornici inquadrati da edicole e sormontati da due ordini di finestre, sei delle quali incorniciate da fini decorazioni.
L’attuale Porta rappresenta infatti solamente la facciata esterna in pietra dell’antica porta romana, rifatta in età claudia (secondo quarto del I secolo d.C.) e addossata alla precedente facciata tardo-repubblicana. Per una corretta lettura della quinta lapidea della «Porta dei Borsàri», dunque, occorre tenere presente che essa era saldata alla preesistente Porta di età tardo-repubblicana.
Per non alterare l’aspetto della nuova costruzione, fornici e finestre furono allineati e tutta la struttura della nuova facciata fu subordinata agli elementi corrispondenti della precedente. I vuoti attuali delle finestre, pertanto, non erano aperture verso il cielo, ma zone d’ombra, che scandivano e facevano risaltare il bianco paramento delle membrature architettoniche.
Nei pressi del monumento, nella zona compresa tra via Adua, corso Porta Borsari e vicolo Monachine, sono stati portati alla luce resti di abitazioni romane con pavimenti in marmo intarsiati.
L’edificio fu costruito nel 1301 da Alberto I della Scala, con un portico retto da colonne e pilastri, ampie bifore e merlature.
Nel XIX secolo, quando l’edificio divenne sede della Camera di Commercio, una ristrutturazione ne alterò le originarie forme romaniche e di nuovo subì parecchi rimaneggiamenti negli anni ’30 del Novecento quando venne aggiunta la merlatura tuttora visibile.
Il Duomo di Verona si trova in un complesso di edifici di origini antiche: quelle che risultano antecedenti sono riferibili ad una costruzione romana, ma sono presenti soprattutto le strutture paleocristiane più antiche della città, cui sono state sovrapposte nei secoli gli edifici Canonicali, la Cattedrale (Duomo) di Santa Maria Matricolare, la chiesa di Sant’Elena e il battistero di San Giovanni in Fonte.
Nei secoli il ponte ha subito numerosi crolli, ricostruzioni e restauri, tra cui, la più evidente, la ricostruzione compiuta nel 1957-59, quando il ponte fu completamente ricostruito per anastilosi, poiché i tedeschi in ritirata, nel 1945, l’avevano fatto esplodere.
I blocchi di pietra e i mattoni, proiettati nel letto del fiume dall’esplosione, furono recuperati, ordinati e numerati, consentendone il reimpiego nella ricostruzione.
Costruito all’inizio del I secolo d.C., il complesso teatrale è costituito da edifici di epoche diverse, inseriti in un suggestivo ambiente naturale collinare. In origine si estendeva, con terrazzamenti successivi, dalla riva dell’Adige alla sommità di colle San Pietro ed era coronato da un tempio i cui resti sono venuti alla luce nel 1851, con gli scavi per la costruzione della caserma austriaca detta Castel San Pietro.
Fu eretta nel 1476-93 per volere dei maggiorenti del Comune di Verona, come sede delle riunioni del Consiglio cittadino (in realtà solo come sede di una istituzione formale, in quanto il dominio veneziano, all’epoca presente a Verona, impediva ogni forma di autonomia).
Nel corso del XIX secolo la Loggia fu provvisoriamente adibita a pinacoteca civica e, per adattarla meglio a tale funzione, subì pesanti rifacimenti, sia negli anni tra il 1820 e il 1838, sia poi tra il 1870 e il 1874, che alterarono gli interni, in queste occasioni furono rifatti i pavimenti, i soffitti e le decorazioni pittoriche). I medaglioni e busti che celebravano i personaggi veronesi, di cui l’edificio era ampiamente adorno, sono ora conservati presso la biblioteca Civica.
L’attuale facciata è opera di artisti umanisti veronesi, mentre la decorazione pittorica che ne ricopriva l’intera superficie prima dell’ultima modifica avvenuta nel 1870, quella attualmente visibile, è opera di maestri comacini. Presenta un portico a otto arcate a tutto sesto, mentre sul piano nobile si aprono quattro ampie bifore con frontoni e paraste scolpite.
Sulla sommità del palazzo si trovano le statue di illustri personaggi della Verona romana (Catullo, Plinio, Emilio Macro, Vitruvio e Cornelio Nepote), dello scultore Alberto da Milano.
Il Palazzo fu costruito all’inizio del XIV secolo, ma nel corso dei tempi fu più volte rimaneggiato; l’ultimo restauro del 1929-30 ha tentato di restituirgli le strutture medievali, di cui rimanevano significativi esempi nel cortile, attraverso abbattimenti di parti di epoche diverse, il ripristino della merlatura e l’inserimento di elementi architettonici consoni.
Questo palazzo è in realtà un complesso di diversi fabbricati, sviluppato intorno a una corte interna rettangolare, con loggia a due ordini con portico, edificata nel XIV secolo da Cansignorio; le pareti delle stanze della loggia erano completamente coperte dai dipinti di Jacopo Avanzi e Altichiero (i due massimi pittori veronesi del Trecento).
Dei gruppi di affreschi dei due autori è stato trovato solo il partimento di Medaglie dell’Altichiero, staccato nel 1967, restaurato e ora conservato presso il Museo degli Affreschi. Nel 1533 il podestà veneziano, che qui aveva la sua sede, commissionò a Michele Sanmicheli il portale dell’ingresso sulla piazza, fatto a somiglianza dell’arco dei Gavi.
Centro fondamentale della cultura trecentesca a Verona, grazie al mecenatismo della famiglia Della Scala, vi furono ospitati vari artisti e uomini di cultura del tempo tra i quali Dante Alighieri.
L’edificio, risalente al XIII secolo, fu a lungo proprietà della Famiglia Cappello, il cui stemma fu scolpito sull’arco interno del cortile.
L’identificazione dei Cappello con i Capuleti ha dato origine alla convinzione che lì sorgesse la casa di Giulietta, eroina della tragedia di Shakespeare, in realtà mai esistita.
L’aspetto attuale dell’edificio deriva dal radicale restauro operato all’inizio del XX secolo, teso a costruire l’immagine di una dimora medievale ideale (di quella originale, soprattutto degli interni, non era rimasto quasi nulla).
Occupa l’area su cui sorgeva la chiesa di San Sebastiano, la maggiore chiesa di Verona fra quelle scomparse, il cui edificio dava un’impronta suntuosa e caratteristica ad una delle principali vie del centro fino al 1945, anno in cui fu distrutto quasi completamente dal bombardamento aereo alleato del 4 gennaio.
La biblioteca fu istituita all’interno del convento associato alla chiesa dopo il 1770, quando, con l’avvento dei francesi di Napoleone la chiesa fu sconsacrata e adibita a manifestazioni di cultura, mentre il convento rimase a disposizione per la biblioteca e per le scuole ginnasiali.
Posta sul cardo massimo della città romana, è chiamata con questo nome dal XV secolo, per la presenza nelle vicinanze di un sarcofago romano in pietra con due leoni, ora posto dietro al monumento di Umberto I.
Nei pressi si possono ammirare anche gli scavi scaligeri.
Il nome è legato al marchese Scipione Maffei, risalente a metà del Settecento, raccoglie opere d’arte che spaziano dalla cultura greca, a quella etrusca e romana.
Esso nacque dal lungo e appassionato lavoro del Maffei, che raccolse centinaia di iscrizioni e affidò all’architetto e pittore Alessandro Pompei l’edificazione di un luogo adatto all’esposizione e alla conservazione dei reperti, in quanto convinto dell’importanza di condividere liberamente la conoscenza con il pubblico, tanto che decise di chiamare questa istituzione Museum Veronense, ovvero “museo della città di Verona”.
Per maggiori informazioni potete consultare il sito: https://it.wikipedia.org/
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